3/31/2013

Ricordando Walter Benjamin

Sabato di Pasqua l'ho passato nuovamente in gita con Carme, l'amica biologa.
Questa volta abbiamo fatto un percorso improntato alla memoria, che aveva un punto di speciale interesse nell'ultimo paesino catalano prima della frontiera con la Francia: Port Bou.
Qui, nel mese di settembre del 1940, in piena guerra mondiale, si è suicidato con una dose letale di morfina Walter Benjamin, che fuggiva dai nazisti ma a cui era stato rivelato che i falangisti di Franco lo cercavano per riconsegnarlo ai francesi. Aveva 48 anni. Era l'esponente forse più illustre di una moltitudine di persone che varcavano la frontiera, in una direzione e nell'altra, cercando scampo alle persecuzioni e ai disastri della guerra. Nelle prossimità del cimitero, dove si conservano le spoglie del pensatore berlinese, gli è stato dedicato una sorta di monumento-scultura, a mio avviso molto bello: è un passaggio tagliato nella montagna tra due lastre di metallo, con una scala che scende dritta verso il mare, interrotta da una lastra di vetro su cui sono incise in varie lingue queste parole: «È un compito più arduo onorare la memoria degli esseri anonimi che quella delle persone celebri. La costruzione storica è consacrata alla memoria di chi non ha nome».
Ecco una carrellata di immagini del monumento a cui aggiungo, alla fine, alcune viste del cimitero, con la pietra che ricorda la sua tomba e altri dettagli di un posto straordinario che invita al silenzio.









Salendo fino alla metà di queste scale, sulla destra, si trova la sepoltura di Walter Benjamin, che si può vedere subito sotto. La frase ripostata sulla lapide non è di quelle tipiche che si trovano nei cimiteri; dice: «Non c'è nessun documento della cultura che non lo sia anche della barbarie».
 



L'angolo più remoto del cimitero riproduce il senso di vertiginosa discesa verso il mare del monumento.


Una umile immagine di civiltà: ci sono molti innaffiatoi collettivi sempre appesi, alla bisogna dei visitanti. 
Peccato che la maggior parte dei fiori sulle tombe siano ormai di plastica...


Flora (e fauna)

Confesso che mi appassiona, in generale, il mondo della creatività vegetale, le infinite risorse di bellezza che sfoggiano fiori e piante. Ogni tanto mi viene voglia di fotografarne qualcuna, come piccolo omaggio a questo mondo silenzioso, che offre tanto e chiede così poco.

La prima è una varietà di orchidea spontanea, di cui non conosco il nome.


Questo è un bell'esempio di come ricresce la vegetazione dopo la devastazione di un incendio.


Nelle vicinanze dell'area di interesse naturale dell'Albera, una zona di piccoli stagni.



Le due immagini che seguono si trovano nelle prossimità del monumento dedicato a Walter Benjamin.



Questa pianta l'ho fotografata nella zona di Cap de Creus, a ridosso delle magnifiche rocce granitiche dalle forme affascinanti che ne configurano il paesaggio. 

 
Come per esempio questo cammello, sdraiato ad osservare pazientemente il paesaggio.




Sempre nel capitolo della fauna, metterei questo "banco di pesci" che l'artista Carles Bros sta dipingendo su una piattaforma frangiflutti davanti al porto della località empordanesa di Llançà. Si tratta di un intervento su una superficie di circa 3000 m2, probabilmente la più grande al mondo dipinta da una sola persona. La struttura del disegno fa pensare anche ad una rete, che forse fa tutt'uno con i pesci...



3/23/2013

La Certosa di Montalegre

Sabato 23 marzo, in compagnia di questa simpatica combriccola di baldi giovanotti, sono stato in visita alla Certosa (Cartoixa, in catalano) di Montalegre (Mons Hilaris), una delle più grandi del sud d'Europa. Attualmente ci vivono dieci monaci, in parte reclutati da altre Certose sparse per il continente, che fanno una vita di meditazione, in clausura totale, cioè senza uscire dalle mura del convento.



  

Ecco il gruppo dei visitatori illustri, e buona partemembri dell'associazione "La Garriga segreta": da sinistra a destra, Joan Garriga, Vicenç Relats, Jordi Llimargas, Josep Maria Codina, Pep Mas e Lluís Cuspinera.

 

Non si può dire che non abbiano avvisato...
 


 
Alcuni dettagli del primo cortile, dove abbiamo iniziato la visita.



Questo andito collega i due chiostri consecutivi del convento, attorno ai quali sono disposte le celle dei monaci. L'ampiezza del quadrato di ciascuno dei due chiostri la si può apprezzare nelle foto successive, un po' più in basso, in cui si vedono i giardini dello spazio interiore.
Particolarmente interessante è anche la volta di questi lunghi anditi, ottenuti con dei mattoni dalle forma già modellate, secondo diversi modelli fatti a stampo che si incastrano perfettamente l'uno con l'altro.  






Il chiostro regala degli spazi interni magnifici e generosissimi.




Da questo spioncino i fratelli possono ricevere i pasti direttamente nella loro cella, senza dover entrare in contatto con i confratelli. La loro vita è improntata alla solitudine e al silenzio, e al di là di determinate incombenze presenta anche dei margini di libertà elevatissimi. Ciascuno vive in una cella che è una specie di miniappartamento, dotato di cortile interno, e lì dentro può fare ciò che vuole.



San Bruno, fondatore dell'ordine dei certosini, con una raffigurazione del monastero.


La bacheca in cui vengono affissi i compiti per ciascuno dei confratelli.


Un dettaglio del piede della teoria di colonnine gotiche del portale della chiesa del convento.


Verso l'uscita.


Teoria di grigi e bianchi, nell'andito che va verso l'uscita.






3/03/2013

Alla foce del Ter

Agli inizi di marzo, qualche giorno dopo una settimana di piogge intense e di tempeste di mare, siamo stati di nuovo insieme a Carme a fare una gita alla foce del fiume Ter. La parte finale del fiume, situata nelle prossimità di Torroella de Montgrí, è ampia e maestosa, perfettamente capace di assorbire le piene di un fiume che, a volte, giunge veramente carico di acque, come appunto era accaduto nei giorni precedenti alla nostra visita. Ecco due scorci del fiume, guardando prima verso il mare, e poi verso la montagna rocciosa del Montgri.




Gli ultimi metri del fiume avevano acquisito un tono più vicino al marrone del fango che al blu dell'acqua, e si può dire lo stesso del mare, almeno fino ad un centinaio di metri dalla riva, che non è poco. 



La riva, carica di Poseidonie, che ho scoperto non sono propriamente delle alghe, bensì piante marine. Ecco uno dei vantaggi di muoversi in compagnia di una biologa.


La forza della mareggiata (e anche della piena del fiume) si poteva misurare per la quantità e la stranezza degli oggetti –o la dimensione dei pesci e conchiglie– che si trovavano gettati sulla spiaggia. 


Queste sono carpe di acqua dolce, prima trascinate in mare dalla piena del fiume, poi sbattute in spiaggia dalla furia del mare. Ne avremo visto una decina nell'arco di mezzo chilometro. 


Tra i relitti vegetali, e oltre a una quantità inenarrabile di canne strappate al fiume e accumulate confusamente sull'arenile, ecco un paio di pezzi notevoli, per dimensione e peso. Questo è un ceppo, con un moncone di radice. Ma quello che viene dopo è un vero e proprio albero di circa dieci metri!



Il senso delle proporzioni ce lo danno questi due ragazzini che giocavano ad arrampicarsi sui rami dell'albero caduto. Con un misto di temerarietà e di prudenza che mi è sembrato ammirevole, i due saggiavano, con estrema attenzione, i limiti della resistenza dei rami e della loro audacia.